METODOLOGIE

L’apocalisse digitale

Apocalisse, secondo il senso comune, è ciò che viene sempre annunciato e poi mai si verifica, temuto in astratto ma ignorato in concreto. Eppure apocalisse è rivelazione, e da marzo 2020 i cieli si sono aperti su un mondo in digitale anche per chi ha sempre tentato di mantenere i piedi ben saldi nella realtà analogica. Nel campo della ricerca abbiamo proseguito le nostre analisi scaricando ebook e approfittando di digitalizzazioni su database o di riproduzioni di documenti precedentemente acquisite; nella didattica abbiamo rapidamente imparato a usare nuovi formati e scoperto modalità per molti inedite — e talvolta apparse perfino come nemiche — di trasmissione del sapere. A volte con un certo entusiasmo, altre volte con risentito disprezzo, abbiamo impiegato strumenti già esistenti, ma che non avevamo ancora sentito l’esigenza di valorizzare, e che invece si sono rivelati — la rivelazione dell’apocalittica — produttivi ed efficaci forse al di là della situazione contingente.

Allo stesso tempo, abbiamo toccato con mano l’inesorabile divario tra gli haves e gli have-nots: gravi sono stati (e sono tuttora) gli impedimenti per i ricercatori che quotidianamente varcavano le porte di archivi e biblioteche per accedere a fonti non digitalizzate, ma soprattutto, nell’ambito dell’e-learning, non poche sono state le accorate richieste d’aiuto da parte di studenti costretti a seguire le lezioni su scomodi smartphone o PC condivisi e con connessioni instabili. A volte, ancora più severe, nella didattica a distanza, sono state le conseguenze sulle modalità di apprendimento: più che la semplificazione, da alcuni paventata, del contenuto e della struttura di una lezione (a cui si può sopperire con una faticosa—ma necessaria—progettazione), altri sono gli aspetti da temere; se il docente ha la possibilità di collegarsi “in diretta” con i suoi studenti, la gestione della classe virtuale diventa una grande sfida, e il controllo sullo stato dell’attenzione dei discenti rischia di prendere il sopravvento sui contenuti da trasmettere; se la lezione è “in differita”, è invece probabilmente da temere la possibilità di riascoltare a piacimento un intervento registrato, un’opzione che porta gli studenti a utilizzare linguaggio e strutture deduttive che sono invariabilmente a immagine e somiglianza di quelle del docente, così che la lezione stessa — anche la meno scolastica e di più alto livello argomentativo — si converte in un mero trasferimento di informazioni, anche perché è spesso negata — a meno di sforzi non sempre ripagati da entrambe le parti — ogni autentica possibilità di dialogo e scambio, e dunque di elevazione rispetto a una interpretazione restrittiva di quanto viene comunicato. Tutto ciò che passa attraverso un mezzo di comunicazione digitale, come sappiamo, è infatti suscettibile di essere accolto passivamente.

Ma forse ciò che più sorprende e amareggia è che le domande che ci eravamo finora posti e i dibattiti che avevamo avviato, compiacendoci poi delle nostre risposte brillanti (sull’utilità del digitale, sull’interazione e la reciproca influenza di forma e contenuto, sul continuo e necessario aggancio della realtà virtuale alla realtà fisica), sono in fondo sbiaditi di fronte a questioni che ora appaiono ben più pressanti per il futuro delle discipline umanistiche. Conoscevamo i software, i database, qualcuno perfino la farraginosa diversificazione tra didattica erogativa e didattica interattiva — cioè la Legge — ma nell’ultimo giorno saremo giudicati non soltanto sulla bontà del servizio fornito, bensì sulla capacità di trasmettere ad altri il nostro amore per la ricerca e di trasformare il contesto accademico in un ambiente (fisico o digitale) in cui è possibile crescere e affrontare sfide. Come garantire il mantenimento dell’autorevolezza del nostro scrivere e insegnare storia o letteratura o filosofia? Come preservare l’autorità del ricercatore-docente senza trasformare i suoi interventi in un flusso unidirezionale? Come assicurare che i nostri sforzi non si riducano per gli studenti a una semplice combinazione di dati, ma alla loro comprensione? Come raggiungere un equilibrio tra l’indispensabile competenza informatica e la qualità delle nostre ricerche e delle nostre letture? È su questi aspetti, e non sulle soluzioni tecniche, che il dibattito ha latitato per molte settimane, mentre è su questo che bisognerebbe insistere. La porta è stretta, ma l’urgenza ci ha almeno fatto comprendere che i farisei, ligi alla lettera della Legge, nell’ultimo giorno non si salveranno.

Fabio Guidali
Dottore di ricerca in Storia Contemporanea

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